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In Bucefalo (1973), noto anche come Alessandro, re di Macedonia, Manolis Tzobanakis condensa in un unico impulso bronzeo l'incontro esplosivo tra il mito antico e la forma moderna. Nonostante sia alta solo quaranta centimetri, la scultura emana una sorprendente monumentalità, che nasce dalla forza della sua composizione e dalla potenza della sua astrazione. Questa prima opera illustra brillantemente la fusione che lo scultore cretese riesce a realizzare tra il linguaggio mitologico e un'estetica frammentaria di ispirazione cubofuturista.
Vista da ogni angolazione, la scultura rivela una tensione costante tra pieno e vuoto, tra spinte decise e superfici ad incastro. Il corpo del cavallo, con i quarti posteriori sollevati in aria e le spalle contratte in un movimento di rifiuto, è frammentato in volumi spigolosi, quasi cristallini. La muscolatura, lontana dal realismo accademico, è tradotta in inquadrature che sembrano esplodere stringendosi su se stesse, catturando lo slancio, la resistenza, l'attimo sospeso del dominio.
Alessandro non è rappresentato con precisione anatomica: emerge dalle forme stesse, con il braccio disteso ad arco, il busto contorto, le gambe lanciate nello slancio. Tutto è tensione, ritmo e astrazione. La superficie in bronzo, caratterizzata da striature e segni di utensili, cattura la luce in una texture vibrante. Nessuna lucidatura decorativa qui: Tzobanakis privilegia una ruvidezza espressiva, quasi arcaica, in cui ogni sfaccettatura sembra ancora portare l'impronta del fuoco della fonderia. La patina, dai toni scuri che oscillano tra l'ocra bruciata e il bronzo antico, rafforza l'impressione di un oggetto mitico, a metà strada tra reliquia e visione moderna.
La composizione si sviluppa in modo centrifugo, come un turbine di forze contrapposte. Il braccio alzato del cavaliere richiama la schiena arcuata della cavalcatura, fondendo le due figure in un unico movimento. L'ancoraggio alla base di marmo nero, massiccio e rigoroso, stabilizza questo squilibrio controllato.
L'eredità della scultura italiana moderna è qui chiaramente evidente. Tzobanakis, formatosi a Firenze e poi a Roma, sembra in dialogo con la ricerca di Boccioni, in particolare nel trattamento del movimento come vettore di forma. Ma mentre Boccioni celebra l'impeto tecnologico, Tzobanakis infonde nella sua astrazione una densità simbolica e politica.
Creato in seguito alla rivolta studentesca del 1973 contro la dittatura dei colonnelli, Bucefalo diventa un racconto di resistenza: il cavallo indomito rappresenta le forze brutali e autoritarie; Alessandro, l'unico in grado di controllarli, incarna il coraggio, la libertà e il ribelle popolo greco. Il mito antico diventa così una metafora contemporanea, una storia scolpita di un popolo in lotta.
L'opera fa parte di una serie più ampia dedicata al tema del cavaliere (1972-1979), doppio simbolico di potere e dominio. Con Bucefalo, culmine di questa serie, Tzobanakis afferma una nuova voce scultorea, al tempo stesso politica e poetica, che lo proietta sulla scena europea. Questo bronzo, che contribuì senza dubbio alla sua medaglia d’oro alla Biennale di Ravenna del 1979, segna una svolta decisiva nella sua carriera.
Oggi conservata presso la Gliptoteca Nazionale di Atene (inv. Π.4446), l'opera rimane una delle pietre miliari più importanti della sua produzione, coniugando precisione formale, densità simbolica e una vitalità scultorea specifica dell'estetica di Tzobanakis.
Ref: J7TTSCFY82